La morte serena

In un luminoso mattino di novembre di qualche anno fa perdeva la vita Walter Piludu. Aveva appena compiuto 66 anni di cui gli ultimi quattro vissuti incatenato ad un respiratore artificiale. Era affetto da una grave forma di  sclerosi laterale amiotrofica e solo pochi giorni prima, attraverso un sofisticato sistema di comunicazione oculare, aveva parlato col proprio giudice tutelare del Tribunale di Cagliari.

“Il mio corpo è immobile, ho solo lo sguardo per comunicare,”  aveva scritto, “vorrei poter decidere io quando andarmene e morire accanto alle persone che amo, senza emigrare in Svizzera. Perché la vita non può essere una prigione, c’è un diritto di dignità e di libertà”.

Prima di lui, la voce registrata di Piergiorgio Welby e i desideri raccontati di Eluana Englaro avevano scosso le coscienze degli italiani. Ma le parole dell’ex politico cagliaritano erano rifluite ribollenti lungo l’impervio territorio dell’etica giuridica, tra il diritto all’autodeterminazione del malato ed il principio dell’inviolabilità della vita umana.

Del tempo è passato da allora, ma la questione del fine vita è ancora oggi rimessa alla sensibilità giuridica dei giudici dei Tribunali. Arbitri imbarazzati davanti a chi, imboccato l’ultimo tratto della propria esistenza, supplica di essere allontanato dallo spettro di una morte per soffocamento. Esistenze che desiderano compiere in libertà l’ultimo cammino di vita, lontano dagli ingranaggi di una macchina dispensatrice di ossigeno e tormento. 

Nell’assenza di una specifica disciplina giuridica, il sapiente coraggio di una giudice sarda permetteva al combattente Walter Piludu di congedarsi con sollievo e dignità.

Un’opportunità che oggi, grazie al decisivo contributo del Movimento 5 Stelle , è  diventata legge dello Stato.

Vige adesso una normativa che permette – entro certi limiti – di esprimere in anticipo a quali trattamenti medici rinunciare nel caso di gravi malattie. Una manifestazione di volontà espressa attraverso la redazione di un documento c.d. di “disposizioni anticipate di trattamento” (DAT) nel quale indicare a quali terapie si vuole rinunciare, nel caso in cui la malattia impedisca di esprimere la propria opinione.

Nessuno dovrà più supplicare davanti ad un Tribunale, nessuno dovrà più temere una morte atroce, perché – come recita testualmente l’art. 32 della Costituzione- «nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».

Il processo di crescita civile di una nazione non è un fatto naturale; questo avviene solo se ci sono fenomeni sociali ed azioni individuali capaci di sostenere un valore e di portarlo avanti con coraggio e caparbietà. Walter Piludu lo ha fatto con l’orgoglio tipico della sua terra e la purezza di una coscienza che nessuna malattia avrebbe mai potuto corrompere.