La politica e la salute dei cittadini: Quale futuro?

La politica e la salute dei cittadini: Quale futuro?

Andrea Piana e Giovanni Sotgiu

La salute rappresenta una condizione di benessere fisico, psichico, sociale, ed ambientale secondo la dichiarazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1948.

Tale concetto è stato implicitamente anticipato dall’articolo 32 della Costituzione che considera la salute come un diritto che deve essere garantito e, come tale, lo Stato Italiano deve mettere in condizione tutti i cittadini di raggiungere il più alto livello di salute. E ciò ad evidenziare, qualora fosse necessario, la lungimiranza dei nostri padri costituenti.

Tuttavia, la modifica dell’articolo V della Costituzione del 2001 e la conseguente regionalizzazione e costituzione di 21 sistemi sanitari diversi ha condotto a differenti modelli assistenziali e standard organizzativi che hanno creato profonde diseguaglianze ed iniquità, particolarmente nel centro e sud Italia ed a carico delle fasce più povere della popolazione. Ciò ha avuto, anche alimentata dalla profonda crisi economica, fattasi rilevante a partire dal 2008 in poi, conseguenti riflessi sullo stato di salute generale della popolazione e sul welfare.

Come anche evidenziato dall’ultimo Rapporto di Osservasalute 2017, l’aspetto più eclatante delle diseguaglianze socio-assistenziali è risultato la riduzione della vita media di maschi e femmine, particolarmente nel sud Italia.

Come far fronte a questo squilibrio? La politica potrebbe dare risposte in tale ambito?

Riteniamo che la salute debba rappresentare una priorità delle agende della politica nazionale, regionale, e locale, con interventi legislativi e normativi mirati a dare enfasi alla tutela ed al potenziamento dello stato di salute. Questo si configura non solo con interventi diretti all’interno dei servizi sanitari regionali, ma anche attraverso politiche di tutela dell’ambiente, del lavoro (e quindi del reddito individuale), del sistema sociale, dell’economia, della ricerca, e del sistema scolastico e universitario.

Una lettura attenta delle criticità epidemiologiche, mediante il miglioramento dei sistemi informativi, permetterebbe di identificare meglio le priorità ed i bisogni di salute e di poter meglio dare specifiche risposte ove più necessario, con conseguente migliore allocazione delle risorse economico-finanziarie.

Sarebbe auspicabile una capillare opera educativa per la salute, integrata all’interno dei programmi ministeriali, a partire dalla scuole primarie; in particolare, un percorso educativo mirato alla conoscenza della prevenzione e dei migliori stili di vita potrebbe creare i presupposti per un miglioramento della consapevolezza sull’importanza della tutela della salute individuale, collettiva, ed ambientale.

Per il raggiungimento dei suddetti obbiettivi, sarebbe opportuno rivalutare la centralizzazione delle politiche sanitarie e scolastiche, al fine di definire un quadro di uniformità legislativa all’interno del territorio nazionale.

Una rinnovata sostenibilità finanziaria del servizio sanitario nazionale rappresenta l’elemento cruciale di garanzia al mantenimento di adeguati standard nei servizi, non disgiunto dalla necessità di fornire nuova linfa ed impulso alla ricerca finalizzata all’identificazione di strumenti per il soddisfacimento dei bisogni di salute.

 

La morte serena

In un luminoso mattino di novembre di qualche anno fa perdeva la vita Walter Piludu. Aveva appena compiuto 66 anni di cui gli ultimi quattro vissuti incatenato ad un respiratore artificiale. Era affetto da una grave forma di  sclerosi laterale amiotrofica e solo pochi giorni prima, attraverso un sofisticato sistema di comunicazione oculare, aveva parlato col proprio giudice tutelare del Tribunale di Cagliari.

“Il mio corpo è immobile, ho solo lo sguardo per comunicare,”  aveva scritto, “vorrei poter decidere io quando andarmene e morire accanto alle persone che amo, senza emigrare in Svizzera. Perché la vita non può essere una prigione, c’è un diritto di dignità e di libertà”.

Prima di lui, la voce registrata di Piergiorgio Welby e i desideri raccontati di Eluana Englaro avevano scosso le coscienze degli italiani. Ma le parole dell’ex politico cagliaritano erano rifluite ribollenti lungo l’impervio territorio dell’etica giuridica, tra il diritto all’autodeterminazione del malato ed il principio dell’inviolabilità della vita umana.

Del tempo è passato da allora, ma la questione del fine vita è ancora oggi rimessa alla sensibilità giuridica dei giudici dei Tribunali. Arbitri imbarazzati davanti a chi, imboccato l’ultimo tratto della propria esistenza, supplica di essere allontanato dallo spettro di una morte per soffocamento. Esistenze che desiderano compiere in libertà l’ultimo cammino di vita, lontano dagli ingranaggi di una macchina dispensatrice di ossigeno e tormento. 

Nell’assenza di una specifica disciplina giuridica, il sapiente coraggio di una giudice sarda permetteva al combattente Walter Piludu di congedarsi con sollievo e dignità.

Un’opportunità che oggi, grazie al decisivo contributo del Movimento 5 Stelle , è  diventata legge dello Stato.

Vige adesso una normativa che permette – entro certi limiti – di esprimere in anticipo a quali trattamenti medici rinunciare nel caso di gravi malattie. Una manifestazione di volontà espressa attraverso la redazione di un documento c.d. di “disposizioni anticipate di trattamento” (DAT) nel quale indicare a quali terapie si vuole rinunciare, nel caso in cui la malattia impedisca di esprimere la propria opinione.

Nessuno dovrà più supplicare davanti ad un Tribunale, nessuno dovrà più temere una morte atroce, perché – come recita testualmente l’art. 32 della Costituzione- «nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».

Il processo di crescita civile di una nazione non è un fatto naturale; questo avviene solo se ci sono fenomeni sociali ed azioni individuali capaci di sostenere un valore e di portarlo avanti con coraggio e caparbietà. Walter Piludu lo ha fatto con l’orgoglio tipico della sua terra e la purezza di una coscienza che nessuna malattia avrebbe mai potuto corrompere.